IL DIRITTO DEL MINORE A ENTRAMBI I GENITORI

Perché è importante per il minore mantenere il rapporto con entrambi i genitori

anche in fase di separazione e divorzio. Il pernottamento presso il padre

Abbiamo deciso di dedicare un approfondimento alla bigenitorialità, in seguito ad una recente pronuncia della Cassazione in merito al pernottamento del minore di due anni presso il padre, sentenza in cui è stato esplicitamente riconosciuto che debba essere considerato nell’interesse del minore.

Ricordiamo, innanzitutto, che il concetto di genitorialità condivisa è presente nella Convenzione sui diritti del fanciullo del 20.11.1989, resa esecutiva in Italia con la Legge n. 176/191, e che la Legge n. 54/2006 ha introdotto nel nostro sistema giuridico la regola dell’affidamento condiviso come regola generale in caso di separazione dei genitori, lasciando come residuale l’ipotesi di affido esclusivo.

La nuova modalità di affidamento su cui oggi si regolamenta il rapporto dei genitori con i propri figli è fondata sul principio della bigenitorialità, secondo cui ogni bambino ha diritto a mantenere un rapporto stabile con entrambi i genitori, anche nel caso essi siano separati o divorziati, a meno che non esistano condizioni eccezionali che giustifichino provvedimenti giudiziari di allontanamento del minore da un genitore ed un affidamento esclusivo a favore dell’altro.

Quando due coniugi si separano, nella maggior parte dei casi la situazione viene regolarizzata da un Giudice, il quale si pronuncia mediante un provvedimento di separazione personale, autorizzando i coniugi ad abitare ciascuno per conto proprio e disponendo tutte le misure idonee per l’affidamento della prole e tutte le prescrizioni per la regolamentazione dei rapporti, ossia le modalità ed i tempi di frequentazione del genitore non prevalentemente collocatario con i figli.

Si precisa, al riguardo, che oggi, i coniugi possono anche rivolgersi a dei legali che regolamentino tali aspetti mediante la procedura di negoziazione assistita, introdotta con la Legge n. 162/2014, facendo stipulare alle parti una convenzione che tra essi è vincolante alla pari di un provvedimento giudiziale, dopo aver ottenuto il nulla osta del Pubblico Ministero, percorso meno costoso e più rapido rispetto alla procedura giudiziaria.

Il rispetto della regolamentazione, però, diventa più difficoltoso nei casi in cui i genitori sono in conflitto, a volte addirittura in competizione tra loro per il proprio ruolo genitoriale, a costo di sacrificare così le necessità dei propri figli.

È proprio a tale proposito che la Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata, precisando che la bigenitorialità non si concretizza semplicisticamente in termini di parità dei tempi di frequentazione del minore. Nello specifico, il diritto che compete ad ogni genitore è quello di essere presente in modo significativo nella vita del proprio figlio, contemperandosi con tutte le particolari esigenze del caso concreto.

La presenza di entrambi i genitori nella vita dei figli, infatti, deve essere tesa a garantire loro una stabile consuetudine di vita e ad assicurare ai figli una salda relaziona affettiva con entrambi i quali, ai sensi dell’art. 337 ter c.c.[1], hanno il dovere di cooperare nella sua assistenza, educazione ed istruzione (Cass. Civ., 23 settembre 2015, n. 18817). Gli articoli richiamati, osserva la Corte, presuppongono che la determinazione dei tempi di frequentazione del genitore non collocatario siano in misura almeno tendenzialmente paritetica rispetto a quelli di permanenza presso il genitore collocatario, o comunque tale da garantire una congrua assiduità, anche in funzione della comune assunzione delle responsabilità genitoriali derivante dall’affidamento condiviso. L’esigenza di evitare un’eccessiva frammentarietà della relazione, collegata anche alla salvaguardia del criterio della bigenitorialità quale modello di regolamentazione del rapporto tra i genitori ed il figlio, ha carattere di assoluta prevalenza, e può dunque affievolirsi soltanto a fronte di una conclamata incompatibilità tra un rapporto assiduo con il genitore non collocatario e la tutela dell’incolumità e del benessere psico-affettivo del minore. La Corte osserva, inoltre, che essa non può invece trovare ostacolo nella peculiarità della situazione derivante dalla distanza dei luoghi di residenza dei genitori, la quale non esclude, ma rafforza, anzi, la necessità della conservazione di una relazione di fatto stabile e significativa.

Nella sentenza n. 18817/2015, la Corte precisa che il criterio fondamentale al quale il Giudice deve attenersi, nell’adozione dei provvedimenti riguardanti i figli minori, è rappresentato dall’esclusivo interesse morale e materiale della prole, il quale impone di privilegiare, tra più soluzioni eventualmente possibili, quella che appaia più idonea a ridurre al massimo i danni derivanti dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo della personalità del minore.

Nella fattispecie, la Corte di merito, dopo aver preso atto della particolare situazione venutasi a creare a seguito della cessazione della convivenza, per le difficoltà pratiche dei genitori nell’affrontare in maniera costruttiva e condivisa le questioni riguardanti il benessere del figlio – non gravi al punto da rappresentare un grave ed attuale pregiudizio all’interesse del minore, tale da giustificare la limitazione dell’esercizio della responsabilità genitoriale di una delle parti -, aveva assunto la propria decisione relativa all’individuazione del genitore collocatario. Secondo l’orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità, tale decisione deve aver luogo sulla base di un giudizio prognostico circa la capacità del genitore collocatario di crescere ed educare il figlio secondo le capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione e disponibilità dimostrate, oltre che secondo la personalità del genitore, le sue consuetudini di vita e l’ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire al minore.

La sentenza n. 16125 del 28.07.2020, qui in esame, conferma la decisione assunta dal provvedimento di merito di secondo grado, contraria a quella che, in primo grado, aveva escluso il pernottamento del minore presso il padre, in considerazione della tenera età del figlio e degli episodi di disagio del minore al momento del distaccamento dal genitore, pur tuttavia senza allegare alcuno specifico pregiudizio potenzialmente correlabile all’eventualità dei pernottamenti.

Il pernottamento presso il padre, in realtà, avrebbe potuto consentire l’esplicazione della relazione genitoriale, grazie alla condivisione di momenti e situazioni fondamentali per la crescita del minore e, quindi, nell’interesse precipuo di quest’ultimo.

È, infatti, in quest’ottica che si realizza pienamente la bigenitorialità, quale presenza comune di entrambe le figure parentali nella vita del figlio e cooperazione delle stesse nell’adempimento dei doveri di assistenza, educazione ed istruzione, per la cui realizzazione non è strettamente necessaria una determinazione paritetica del tempo da trascorrere con il minore (essendo maggiormente importante la qualità del tempo trascorso con il proprio figlio, a discapito della quantità) e risultando invece sufficiente la previsione di modalità di frequentazione tali da garantire il mantenimento di una stabile consuetudine di vita e di salde relazioni affettive con ciascun genitore.

In conclusione, si dovrà operare una valutazione nell’interesse morale e materiale esclusivo dei figli minori, perché la situazione familiare causata dalla disgregazione dell’unione coniugale possa permettere agli stessi di crescere serenamente.

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[1] Come pure dell’art. 9 della Convenzione di New York e dell’art. 8 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali e dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dello Uomo.