IL MANTENIMENTO DEL FIGLIO MAGGIORENNE:

NUOVE PROSPETTIVE

Una recente pronuncia giurisprudenziale in materia definisce i principi fondamentali dell’istituto

Con la recente decisione della Suprema Corte di Cassazione n. 17183 del 14.08.2020, vengono sostanzialmente scardinati alcuni degli stereotipi giurisprudenziali sinora in auge. L’ordinanza rappresenta, infatti, una tappa fondamentale nell’interpretazione delle norme in materia ed è interessante esaminarne la portata.

Nella fattispecie, la Corte ha preso posizione su alcuni aspetti collegati all’affidamento condiviso ed al dovere di mantenimento dei figli da parte dei genitori, stabilendo, innanzitutto, che non sussiste il diritto di un figlio maggiorenne economicamente non autosufficiente a continuare a tempo indeterminato a ricevere un contributo economico dal genitore in precedenza obbligato a versare un assegno in suo favore, né a mantenere il godimento della casa familiare, senza limite di età.

Partendo da tale questione principale, in realtà nell’ordinanza citata la Corte si esprime sugli aspetti relativi, in generale, ai diritti e doveri dei genitori nei confronti dei propri figli e all’affidamento condiviso.

In particolare, la Legge n. 54/2006 ha introdotto nel nostro Ordinamento il regime dell’affidamento condiviso e l’attribuzione dell’obbligazione di contribuzione al mantenimento a carico del genitore non convivente/collocatario. La Corte rileva che, con il raggiungimento della maggiore età, il figlio diventa libero e non è più soggetta a regolamentazione la sua collocazione presso uno o l’altro genitore, così come il corrispondente diritto di visita, restando la sua residenza solamente anagrafica e non dovendosi più bilanciare il tempo trascorso di ciascun genitore con il proprio figlio. Parimenti all’estinzione dell’obbligo di contribuzione dei genitori nei confronti dei figli maggiorenni, si dovrà riconoscere al figlio l’acquisto della capacità di agire e della libertà di autodeterminazione, conseguenti al raggiungimento della maggiore età.

Ai sensi dell’art. 337 septies c.c., che prevede la forma diretta del mantenimento come prioritaria, il Giudice ha la facoltà di disporre un assegno a favore del figlio maggiorenne, valutatene le concrete necessità. La lettera della norma sembra contraddire la prassi di ritenere quasi automatico l’obbligo di mantenimento a favore del maggiorenne, parificato al figlio minorenne laddove non economicamente autosufficiente, e la prassi di dover richiedere espressamente al Giudice che il versamento dell’assegno fosse eseguito direttamente nelle mani del figlio anziché al genitore collocatario, così come era già stato considerato dalla giurisprudenza della Suprema Corte (ex pluris, Cass. 18008/2018).

Sul punto, l’ordinanza de quo conclude che “non è dato comprendere perché la doppia legittimazione a ricevere il contributo (ammessa e non concessa) dovrebbe togliere all’obbligato la possibilità di scelta: appare ben più logico sostenere che è corretto il versamento sia all’uno che all’altro soggetto” e che sia del tutto illogico il ragionamento finale della Corte, tenuto conto della lettera della norma e dell’abitudine a riportarsi, comunque, ad una prassi ad essa contraria.

Nella nostra personale esperienza, infatti, dobbiamo riconoscere che la “regola” a cui tutti i Giudici si adeguano nelle loro disposizioni è proprio quella conforme alla consolidata giurisprudenza sopra indicata, piuttosto che quella della lettera della norma evidenziata nella pronuncia qui in esame.

Come osserva, poi, la Corte, tale meccanismo (quello di continuare a versare il mantenimento per il figlio maggiorenne al genitore “convivente”) non fa che accrescere le tensioni tra gli ex coniugi e potrebbe, addirittura, permettere al figlio di contestare il ricevimento stesso del mantenimento. L’art. 337 septies comma 2 c.c. non lascia dubbi: l’assegno “salvo diversa determinazione, è versato direttamente all’avente diritto”.

La Cassazione precisa, inoltre, alcuni aspetti di sostanziale equità tra genitori e figli, determinati da considerazioni di buonsenso, come ad esempio il motivo per il quale si dovrebbe pretendere da parte dei genitori un sacrificio maggiore, esigendo di continuare a versare un mantenimento, rispetto a quello a cui è disposto a compiere il figlio. La Corte evidenzia a tale riguardo come, al di sopra dei trent’anni, sia lecito presumere che un figlio abbia completato la propria formazione nonché abbia avuto il tempo per trovare di che mantenersi. Anche relativamente a tale concetto, l’ordinanza in parola prende le distanze dai precedenti della stessa Corte (sentenza n. 1830/2011) per smantellare un alibi che spesso i maggiorenni usano, ossia quello di non aver trovato un’occupazione adeguata alle ambizioni legittimamente coltivate, visti i propri titoli di studio, invitando il maggiorenne a ridurre eventualmente “le proprie ambizioni adolescenziali” pur di trovare il modo di auto-mantenersi. Una posizione conforme ai criteri di merito e dignità della persona confermati anche dai recenti interventi introdotti in merito alla quantificazione dell’assegno divorzile, non più connesso alla automatica corrispondenza al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, allontanandosi dal principio di assistenzialismo del passato. Occorre, infatti, che “la concreta situazione economica non sia il frutto di scelte irragionevoli e sostanzialmente volte ad instaurare un regime di controproducente assistenzialismo, nel disinteresse per la ricerca della dovuta indipendenza economica”. La Corte conclude che “L’assistenza economica protratta ad infinitum potrebbe finire col risolversi in forme di vero e proprio parassitismo di ex giovani ai danni dei loro genitori sempre più anziani”.

Un’altra fondamentale originalità, rispetto alla precedente prassi, è quella di invertire l’onere della prova (secondo il principio di prossimità o vicinanza della prova), ponendo a carico del figlio la dimostrazione di necessitare di un mantenimento ulteriore, mentre la presunzione è quella di avere raggiunto, con la maggiore età, un idoneo reddito. Sinora, infatti, la costante giurisprudenza (ad es. Cass. n. 5088/2018) poneva l’onere della prova a carico del genitore, per sottrarsi all’obbligo di mantenimento, con l’evidente difficoltà di procurarsi anche le più elementari informazioni sulle sue attività scolastiche e/o lavorative, protette dalla privacy.

Cessa, quindi, ogni automatismo, sinora applicato dalla maggior parte dei Tribunali, e viene richiesta al giudice una valutazione di tutte le circostanze del caso, al fine di stabilire se permanga un diritto ad una contribuzione, una volta dimostrata la non indipendenza economica. L’ordinanza chiarisce che non sussiste alcun riconoscimento automatico dei diritti acquisiti nella fase precedente al raggiungimento della maggiore età.

In conclusione, riteniamo che la Corte di Cassazione abbia fondamentalmente esplicitato un principio che nel resto del mondo è oramai scontato da molti anni, in merito alla indipendenza dei figli al raggiungimento della maggiore età, e che in Italia ancora stenta ad essere accettato in ragione della nostra usanza di allungare i tempi di distacco del figlio dal proprio nucleo familiare di origine.

DM Lex Studio Legale resta a disposizione per fornire consulenza in materia, sia a favore dei genitori che vogliano modificare le condizioni preesistenti o porre fine al mantenimento di figli maggiorenni, sia a favore di questi ultimi nel caso in cui vogliano continuare a percepirlo, se vi sono fondate motivazioni.